Plastiche tra le rocce
Plastiche tra le rocce

Allarme plastiche nelle rocce

È da tempo che gli studiosi, soprattutto i geologi, segnalano che l’antropocene sarà una nuova era geologica segnata dal passaggio dell’uomo e non ancora citata nei libri di storia. Siamo ancora all’inizio, dichiara il prof. Luigi Valerio collaboratore del Dipartimento di Geologia e Ambiente dell’Università di Napoli “Federico II” e come evidenziano gli esperti accanto a modificazioni senza ritorno, come la plastica nelle rocce, si assisterà ad un aumento delle temperature, con conseguente scioglimento dei ghiacciai, ad una sempre maggiore concentrazione di anidride carbonica e a un crescente consumo di acqua, che intaccherà le riserve idriche del pianeta.

Siamo tutti d’accordo che il passaggio dell’uomo avrebbe definitivamente ridisegnato le sorti della terra e questo era chiaro già tempo. Mai si sarebbe pensato che le tracce della nostra «evoluzione» avrebbero modificato non solo l’aspetto del territorio, ma anche quello geologico. Infatti, dagli studi intrapresi hanno evidenziato come le plastiche siano entrate a far parte del ciclo delle rocce. Già 2016 quando, per la prima volta,i ricercatori individuano sulle rocce dell’Isola di Madeira delle strane conformazioni dai colori brillanti. Non capendo cosa fossero, inviarono dei campioni per delle analisi ed emerse una sconcertante verità. Quella specie di muschio sintetico altro non era che polietilene, una plastica
comune utilizzata negli imballaggi monouso e nei contenitori per alimenti. Nata dal continuo infrangersi delle onde sulle rocce, il plasticrust (così venne ribattezzato) è diventato parte integrante delle rocce stesse con oltre il 10% delle rocce ricoperte. Il plasticrust, ossia la plastica, si sta gradualmente sostituendo all’incrostazione biologiche sulle rocce. Non solo a Madeira anche sull’isola vulcanica brasiliana di Trindade si è scoperto ultimamente rocce fatte di detriti di plastica in questo remoto paradiso delle tartarughe. Sull’isola situata a 1.140 km dalla costa la plastica fusa dal sole a quella latitudine, si è mescolata con le rocce e la contaminazione ha raggiunto i cicli geologici della Terra. Pare che da studi odierni vengono chiamati “plastigglomerati” perché sono costituite da una miscela di granuli sedimentari e altri detriti tenuti insieme dalla plastica.
I primi a farne le spese sono gli animali marini, in particolari quelli che vivono e si alimentano sulle conformazioni rocciose, come i cirripedi e le lumache di mare. Se per i pesci e altri animali, in particolare tartarughe marine, si sono già avute diverse dimostrazioni dei danni che l’inquinamento da plastica può causare, per questi organismi, si necessitano ancora studi approfonditi. Di certo però, entrando nella catena alimentare non solo dell’uomo ma anche di animali più grandi, la plastica contribuisce alla diffusione del problema legato alle microplastiche. Ecco perché l’Associazione A.I.P.U. aderisce al progetto MicroMar di citizen science che ha l’obiettivo di eseguire un monitoraggio della presenza di plastiche microscopiche in mare. I volontari partecipano alla raccolta dei campioni di acqua e poi Il progetto prosegue con la componente scientifica per quanto riguarda protocolli di analisi dei campioni e processamento dei dati che troverete nel nostro sito micromar.org.