"Ancora una specie aliena è stata trovata nel Golfo di Gaeta dal responsabile scientifico dell'Associazione AIPU: prof Adriano Madonna, proprio in questa estate calda dopo l’alga Asparagopsis armata" dichiara Luigi Valerio Presidente dell’associazione AIPU per lo sviluppo sostenibile sede operativa di Minturno-Sperlonga.
Nonostante la letteratura specifica riporti che la spugna Oceonapia isodyctiformis viva in Atlantico e in Mediterraneo, dalle nostre parti, nel golfo di Gaeta e dintorni, non si era mai vista prima. L’ha scoperta, durante un’immersione di studio nelle acque della Grotta del Turco, il Prof. Adriano Madonna, biologo marino di EClab Laboratorio di Endocrinologia Comparata dell’Università Federico II di Napoli e responsabile scientifico di A.I.P.U. Associazione Internazionale per il Progetto Unesco.
La spugna in questione non passa certo inosservata: è costituita da elementi digitiformi (a forma di dito) più o meno raggruppati o distanziati, di colore bianco. Che nel nostro mare non fosse presente prima si spiega facilmente: è ovvio, infatti, che in tempi precedenti quelli odierni la Oceonapia non aveva trovato la sua nicchia ecologica, cioè l’insieme delle condizioni biotiche e abiotiche necessarie alla sua sopravvivenza e alla sua riproduzione. È molto probabile, anzi è certo, che il cambiamento climatico abbia influito su un cero mutamento ambientale che adesso consente l’attecchimento di questa spugna. Il Prof. Adriano Madonna riferisce che basta nuotare con maschera e pinne lungo la falesia del Monte Orlando del parco regionale Riviera di Ulisse per notare, a un paio di metri di profondità, questi cespi bianchi più o meno grandi ed estesi. Come la maggior parte delle spugne, anche Oceonapia isodyctiformis attecchisce su substrato duro, in particolare su quello roccioso, e preferisce punti in penombra o con assenza di luce quasi totale.
Nelle giornate di questa calda estate, dunque, potremo dedicare un bagno nelle acque della Grotta del Turco alla ricerca di Oceonapia isodyctiformis, ma per gustare in pieno l’esperienza, sarà bene prima assumere qualche informazione sulle spugne.
Osservando una spugna, magari anche quella appoggiata sul bordo della vasca da bagno, non si capisce bene di che “razza” di organismo si tratti e si propenderebbe di più per una specie del regno vegetale anziché del regno animale. Gli stessi dubbi e le stesse perplessità coinvolsero i naturalisti di un tempo, che non sapevano come inquadrare gli strani tessuti di queste creature del mare. La svolta si ebbe intorno alla seconda metà del Settecento, quando le spugne furono classificate nel regno animale, ma… non proprio: infatti furono relegate in una sorta di “dependance” del regno animale, un sottoregno, quello dei parazoi, che significa “vicino agli animali”, perché, pur essendo state identificate come organismi animali, è innegabile che si tratti di animali molto particolari, che neppure lo sembrano: la loro consistenza soffice, infatti, è data da un insieme di cellule a strati che formano qualcosa di simile a un tessuto.
Per la loro caratteristica di essere costellate di minuscoli pori dai quali entra ed esce un flusso d’acqua apportatore di sostanze di nutrimento, le spugne costituiscono il philum dei poriferi, quindi dire spugne o dire poriferi è la stessa cosa. Ciò che in genere si sa delle spugne è che sono organismi distinti in numerose specie diverse, così come diverse sono le loro forme e i loro colori, quasi sempre sgargianti e vistosi e questa è una sacrosanta verità: nel nostro Mediterraneo, infatti, così come in altri mari, ad esempio i Caraibi cubani, le spugne sono annoverabili fra gli organismi che colorano di più il fondo del mare.
Facciamo dunque conoscenza con questi “marziani del mare” e ci sarà da stupirsi, perché l’organizzazione dei poriferi è davvero singolare. In ogni caso, si tratta di un philum molto antico: si pensi che spicole di spugne sono state trovate nelle rocce del precambriano. Ciò significa che oltre seicento milioni di anni fa le spugne già esistevano e per giungere sino ai nostri giorni hanno attraversato infiniti mutamenti ambientali a cui si sono adattate volta per volta, riuscendo a evolversi secondo le necessità di ogni tipo di situazione, fino a costruire le spugne della nostra era, quelle che abitualmente vediamo sott’acqua. Basta solo pensare alla lunga storia evolutiva (filogenesi) di questi organismi per osservarli, se non altro, con maggiore ammirazione.